Era una mattina di fine settembre, l’aria carica di quel profumo salmastro che solo lo Stretto di Messina sa regalare. Il sole, ancora timido, accarezzava le acque con una luce dorata, quasi a voler preparare la scena per qualcosa di memorabile. Io, allora, non sapevo che quella traversata da Villa San Giovanni a Messina — un semplice traghetto da due euro, prenotabile online con un clic — sarebbe diventata il punto di svolta di un intero capitolo della mia vita.
Non ero un turista, né un pendolare abituale. Ero un uomo in fuga, sebbene non avessi commesso alcun crimine. Fuggivo da una versione di me stesso che non riconoscevo più: un avvocato di successo a Milano, circondato da vetrine luccicanti e clienti illustri, ma con un’anima arida come un campo dopo la siccità. Avevo chiuso lo studio, venduto l’appartamento, e con una valigia malridotta e un biglietto di sola andata avevo raggiunto la Calabria, spinto da un impulso irrazionale che solo in seguito avrei compreso.
Il traghetto partiva ogni ora, piccolo e funzionale, un mezzo quasi invisibile nel grande teatro del Mediterraneo. Salii a bordo senza guardare indietro. Il biglietto, acquistato online la sera prima per soli due euro, sembrava quasi un simbolo: un prezzo irrisorio per un passaggio che avrebbe cambiato tutto. Mentre il motore rombava sommessamente e il molo di Villa San Giovanni si allontanava, sentii per la prima volta in anni un senso di leggerezza. Non era la libertà, non ancora, ma forse la sua ombra.
Lo Stretto è un luogo di confine, non solo geografico. È un crocevia di storie, di miti, di destini incrociati. Da una parte, la Calabria con le sue montagne aspre e i suoi silenzi antichi; dall’altra, la Sicilia, isola di fuoco e poesia, di vulcani e memoria. In mezzo, solo acqua, vento e il battito regolare delle pale del traghetto che fendevano l’onda.
Fu durante quella traversata che incontrai lei. Non ricordo il suo nome — o forse lo ricordo troppo bene per poterlo scrivere qui. Era seduta sul ponte superiore, avvolta in un foulard di seta verde, lo sguardo perso oltre l’orizzonte. Non parlò subito. Si limitò a osservarmi con quegli occhi che sembravano conoscere già la mia storia. Poi, con voce calma, mi chiese: «Perché scappi?».
Rimasi interdetto. Nessuno mi aveva mai posto quella domanda con tanta semplicità. Risposi con un’alzata di spalle, ma lei sorrise, come se avesse già ricevuto la risposta che cercava.
La lezione del mare
Quel breve viaggio durò meno di mezz’ora, ma fu sufficiente a farmi capire che non stavo andando verso Messina: stavo tornando verso me stesso. Lei mi raccontò di essere una storica dell’arte, in viaggio per studiare i mosaici normanni di Monreale. Mi parlò di come ogni opera d’arte nasca da una frattura, da un vuoto che l’artista cerca di colmare. «Anche tu sei una frattura», mi disse. «Ma non per questo sei incompleto. Sei in divenire».
Quando il traghetto attraccò al porto di Messina, non ci salutammo con abbracci o promesse. Lei scese per prima, voltandosi appena a dirmi: «Non cercare risposte. Cerca domande migliori». Poi scomparve tra la folla, come una nota di musica che svanisce nell’aria.
Dove comincia il vero viaggio
Da allora, sono passati anni. Ho scelto di restare in Sicilia, non per fuggire ancora, ma per radicarmi. Ho aperto una piccola libreria a Taormina, dove ogni libro è una finestra su un mondo possibile. Spesso, nei pomeriggi più tranquilli, torno a Messina solo per prendere quel traghetto da due euro, non per andare da nessuna parte, ma per ricordare che ogni confine è anche un inizio.
Quel traghetto, così ordinario, così economico, è diventato per me un simbolo. Non è il mezzo che conta, ma ciò che portiamo con noi quando lo attraversiamo. Lo Stretto non separa solo due terre: separa ciò che siamo da ciò che possiamo diventare. E a volte, basta un biglietto da due euro — prenotato online, con la semplicità di un gesto quotidiano — per varcare quel confine invisibile.
Epilogo sul molo
Oggi, ogni volta che vedo un traghetto salpare da Villa San Giovanni, penso a quanti silenzi, quante storie, quanti addii e quanti inizi si nascondano tra le sue cabine e i suoi ponti. Nessuno lo direbbe mai, guardandolo da fuori: quel piccolo battello è una navicella del tempo, un passaggio sacro tra due mondi. E forse, proprio per questo, il suo prezzo è così irrisorio: perché il vero costo di una traversata del genere non si paga in euro, ma in coraggio.
Se un giorno deciderete di prenotare online quel traghetto da Villa San Giovanni a Messina — magari spinti da un impulso improvviso, da una nostalgia senza nome, o semplicemente dalla curiosità — ricordatevi che non state solo attraversando un braccio di mare. State attraversando una soglia. E chiunque varchi una soglia, anche la più piccola, non è mai più lo stesso quando ne esce.
Una traversata che non era solo un traghetto
Era una mattina di fine settembre, l’aria carica di quel profumo salmastro che solo lo Stretto di Messina sa regalare. Il sole, ancora timido, accarezzava le acque con una luce dorata, quasi a voler preparare la scena per qualcosa di memorabile. Io, allora, non sapevo che quella traversata da Villa San Giovanni a Messina — un semplice traghetto da due euro, prenotabile online con un clic — sarebbe diventata il punto di svolta di un intero capitolo della mia vita.
Non ero un turista, né un pendolare abituale. Ero un uomo in fuga, sebbene non avessi commesso alcun crimine. Fuggivo da una versione di me stesso che non riconoscevo più: un avvocato di successo a Milano, circondato da vetrine luccicanti e clienti illustri, ma con un’anima arida come un campo dopo la siccità. Avevo chiuso lo studio, venduto l’appartamento, e con una valigia malridotta e un biglietto di sola andata avevo raggiunto la Calabria, spinto da un impulso irrazionale che solo in seguito avrei compreso.
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Il ponte tra due mondi
Il traghetto partiva ogni ora, piccolo e funzionale, un mezzo quasi invisibile nel grande teatro del Mediterraneo. Salii a bordo senza guardare indietro. Il biglietto, acquistato online la sera prima per soli due euro, sembrava quasi un simbolo: un prezzo irrisorio per un passaggio che avrebbe cambiato tutto. Mentre il motore rombava sommessamente e il molo di Villa San Giovanni si allontanava, sentii per la prima volta in anni un senso di leggerezza. Non era la libertà, non ancora, ma forse la sua ombra.
Lo Stretto è un luogo di confine, non solo geografico. È un crocevia di storie, di miti, di destini incrociati. Da una parte, la Calabria con le sue montagne aspre e i suoi silenzi antichi; dall’altra, la Sicilia, isola di fuoco e poesia, di vulcani e memoria. In mezzo, solo acqua, vento e il battito regolare delle pale del traghetto che fendevano l’onda.
Fu durante quella traversata che incontrai lei. Non ricordo il suo nome — o forse lo ricordo troppo bene per poterlo scrivere qui. Era seduta sul ponte superiore, avvolta in un foulard di seta verde, lo sguardo perso oltre l’orizzonte. Non parlò subito. Si limitò a osservarmi con quegli occhi che sembravano conoscere già la mia storia. Poi, con voce calma, mi chiese: «Perché scappi?».
Rimasi interdetto. Nessuno mi aveva mai posto quella domanda con tanta semplicità. Risposi con un’alzata di spalle, ma lei sorrise, come se avesse già ricevuto la risposta che cercava.
La lezione del mare
Quel breve viaggio durò meno di mezz’ora, ma fu sufficiente a farmi capire che non stavo andando verso Messina: stavo tornando verso me stesso. Lei mi raccontò di essere una storica dell’arte, in viaggio per studiare i mosaici normanni di Monreale. Mi parlò di come ogni opera d’arte nasca da una frattura, da un vuoto che l’artista cerca di colmare. «Anche tu sei una frattura», mi disse. «Ma non per questo sei incompleto. Sei in divenire».
Quando il traghetto attraccò al porto di Messina, non ci salutammo con abbracci o promesse. Lei scese per prima, voltandosi appena a dirmi: «Non cercare risposte. Cerca domande migliori». Poi scomparve tra la folla, come una nota di musica che svanisce nell’aria.
Dove comincia il vero viaggio
Da allora, sono passati anni. Ho scelto di restare in Sicilia, non per fuggire ancora, ma per radicarmi. Ho aperto una piccola libreria a Taormina, dove ogni libro è una finestra su un mondo possibile. Spesso, nei pomeriggi più tranquilli, torno a Messina solo per prendere quel traghetto da due euro, non per andare da nessuna parte, ma per ricordare che ogni confine è anche un inizio.
Quel traghetto, così ordinario, così economico, è diventato per me un simbolo. Non è il mezzo che conta, ma ciò che portiamo con noi quando lo attraversiamo. Lo Stretto non separa solo due terre: separa ciò che siamo da ciò che possiamo diventare. E a volte, basta un biglietto da due euro — prenotato online, con la semplicità di un gesto quotidiano — per varcare quel confine invisibile.
Epilogo sul molo
Oggi, ogni volta che vedo un traghetto salpare da Villa San Giovanni, penso a quanti silenzi, quante storie, quanti addii e quanti inizi si nascondano tra le sue cabine e i suoi ponti. Nessuno lo direbbe mai, guardandolo da fuori: quel piccolo battello è una navicella del tempo, un passaggio sacro tra due mondi. E forse, proprio per questo, il suo prezzo è così irrisorio: perché il vero costo di una traversata del genere non si paga in euro, ma in coraggio.
Se un giorno deciderete di prenotare online quel traghetto da Villa San Giovanni a Messina — magari spinti da un impulso improvviso, da una nostalgia senza nome, o semplicemente dalla curiosità — ricordatevi che non state solo attraversando un braccio di mare. State attraversando una soglia. E chiunque varchi una soglia, anche la più piccola, non è mai più lo stesso quando ne esce.